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Etty Hillesum

«Io non ho nostalgia, io mi sento a casa. (…) Si è a casa. Si è a casa sotto il cielo. Si è a casa dovunque su questa terra, se si porta tutto in noi stessi. Spesso mi sono sentita, e ancora mi sento, come una nave che ha preso a bordo un carico prezioso: le funi vengono recise e ora la nave va, libera di navigare dappertutto. Dobbiamo essere la nostra propria patria».

Sono parole di Etty Hillesum, giovane olandese nata nel 1914 da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica e morta ad Auschwitz nel 1943, poi diventata celebre per il suo Diario (Adelphi, 1985) e le sue Lettere (Adelphi, 1990). Secondo il monaco benedettino fratel MichaelDavide Semeraro, che le riporta nel libro Etty Hillesum. Umanità radicata in Dio (Paoline, 2013), ci svelano il grande mistero di un’anima che non perde, anzi accresce giorno dopo giorno il contatto con l’interiorità nonostante il contesto terribile in cui viveva.

Secondo Semeraro, «in quella tenebra crescente e violenta in modo inaudito quale fu il nazismo, il cuore di Etty ha saputo imparare a pregare». E «attraverso la preghiera ha imparato a meditare sulle tenebre umane attraverso la luce di Dio». In questo modo «il contatto con la propria intimità matura attingendo dentro di sé il senso della vita e la forza per essere testimone della sua bellezza radicale nonostante tutto e malgrado tutto». 

Elisa Bertoli, collaboratrice del Festival Francescano